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Evoluzione delle Forme della Nautica

LE FORME DELLE IMBARCAZIONI





In principio era il tronco, il tronco divenne poi tronco scavato e al tronco stesso vennero applicati un paio di rami come propulsori a foggia di remi. Siamo nell’ 8000 a.c. Ci vollero altri 4000 anni per vedere  applicata una vela. Nacque così  la navigazione marittima della quale abbiamo oggi tante testimonianze archeologiche. Già dal 4000 a.c. infatti il Mare Nostrum si solcava da parte a parte e le varie incursioni e invasioni hanno fatto la storia.

Col passare del tempo si è passati alla ricerca di maggiori prestazioni … più velocità uguale più mercato e più denari. Tendenza che ancora oggi non si è esaurita. Se infatti la velocità nel trasporto equivaleva a maggiore redditività dell’impresa di trasporti,  come conciliarla però con il trasporto ai fini del diporto cioè del divertimento che esula dal fine di lucro? In parole povere, perché dobbiamo correre anche in mare?

Non vi è una risposta accettabile o che vada bene per tutti, difatti però negli ultimi 100 anni si è esasperato il concetto di velocità delle imbarcazioni secondo me per puro machismo, pura esibizione di (presunta) virilità. Come vi starete accorgendo, pur apprezzando i motori, il sottoscritto non ama le corse, soprattutto in mare, elemento “madre”  dal quale proveniamo e nel quale finiremo.

La ricerca della velocità in mare è andata di pari passo con quella della velocità a terra, generando architetti che non hanno fatto altro che trasferire i lay out automobilistici in mare. Eccole quindi le barche moderne, antropomorfe, con linee aggressive, colori scuri e spigoli ovunque. Tutte caratteristiche che si addicono a chi il mare non lo ama. A chi lo violenta, lo sfrutta, non gli chiede permesso, lo sventra. Caratteristiche che nascono anche per intimorire l’osservatore e rafforzare ancora lo spropositato ego dell’armatore.

E la vela purtroppo non è da meno. Se uno scafo a motore da 50 nodi con eliche di superficie che solleva una scia alta 10 metri si classifica da solo, cosa dire di una barca con vele nere, scafo nero a spigolo, dritto di prua rovesciato e interni angolari rivestiti però di preziosissimo alcantara? Mi chiedo quando abbiamo iniziato a considerare “belle” queste forme che di bello hanno veramente poco? È vero che il bello è negli occhi di guarda ma perché consideriamo ancora belli alcuni modelli di auto degli anni 50 e 60 e inorridiamo davanti ad una 127 o ad una Prinz o una Duna? Chi stabilisce i canoni della bellezza? I designer e il marketing, come in tutte le cose.

E purtroppo i designer sono poco sensibili all’armonia delle forme auree (Leonardo docet e il nautilus pure), “legano il cavallo” dove dice il padrone.

Infatti, e purtroppo, il mercato, spinto ora dalle richieste di una clientela capricciosa e poco marina, attenta solo ad esibire, continua a produrre barche inguardabili, piene di spigoli, con bordi liberi altissimi anche su scafi corti, per altezze d’uomo impensabili con linee classiche e tutto  a scapito della navigabilità. Non parliamo poi degli interni che sembrano usciti da un film di fantascienza. Perché la stragrande maggioranza delle megabarche oggi realizzate non nascono per navigare ma per stare ormeggiate in porto ed essere oggetto di attenzioni dei passanti. Una mera vetrina della propria opulenza.

La generazione dei classici è tramontata ormai, ne sopravvivono pochi e purtroppo non hanno a chi passare il testimone della loro generazione. Una generazione conscia del fatto che vivere in barca è una scelta di rinunce, un ritorno alla semplicità. Ma oggi su qualsiasi barca prodotta non si rinuncia più a niente, dall’altezza d’uomo al frigo, all’aria condizionata, ai dissalatori ai tre bagni con docce e marmi di Carrara, a cucine con forni, fornelli, piastre ad induzione, alla tv led e ad altre mille diavolerie che poco hanno a che fare con il vivere per mare. Per non parlare dell’energia di cui hanno bisogno, veri e propri buchi neri affamati di watt.

Poi pare che nessuno ami la barra del timone. Lo scettro di ogni velista. Oggi anche su barche di 9 metri montano ruote (talvolta enormi e talvolta due) per motivi che sfuggono alla logica della navigazione.

L’acqua è l’elemento dominante del nostro pianeta e di noi stessi. L’acqua non ha forme definite, è in continua evoluzione e movimento. L’acqua non riconosce forme geometriche angolari, non le sono avvezze, non le appartengono. Trovatemi un pesce o una creatura marina a spigolo. Oppure guardatevi nudi e trovate uno spigolo nel vostro corpo.   

Il mare per fortuna non ha apparente memoria delle mille carene che lo solcano, ma il garbo, la gentilezza, il rispetto per lui, passano anche dalla forma e dalla velocità della nostra barca.




Marco Scanu, diplomato al nautico, conduttore imbarcazioni, si occupa di comunicazione soprattutto in campo nautico.



  • Pubblicato il
  • 28/06/2019

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